Giorgione, Il doppio ritratto Ludovisi

[su_heading size=”20″ margin=”10″](Interpretato sulla base degli Asolani di Pietro Bembo)[/su_heading]

 

olio su tela, cm 76,3 x 63,4 Roma, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia

La storia:

Il doppio ritratto Ludovisi ci porta nella Venezia di fine ‘400 inizio ‘500, quindi in un contesto di grandi rinnovamenti sia dal punto di vista artistico che letterario. Protagonista di questi cambiamenti è anche il giovane Pietro Bembo.

Quando si parla di Bembo non si può non tener presente il profondo disagio che, in questi anni, prova nei confronti della società veneziana e dei valori su cui si basava la Repubblica. A essere messi in crisi sono, infatti, quei valori secondo i quali il giovane patrizio veneziano avrebbe dovuto mettere gli esiti dei suoi studi padovani al servizio dello Stato. La profonda crisi sorta da questa prospettiva non riguarda solo Bembo, ma anche altri esponenti della società letteraria veneta: Vincenzo Quirini, Tommaso Giustiniani, Niccolò Tiepolo, Sebastiano Giorgi, per citarne alcuni. Si tratta di un gruppo importante che si unisce nella così detta Compagnia degli amici e che si dota di statuti propri.

Tale Compagnia arriva a costituire quasi un mondo a sé, in cui i membri possono discutere liberamente, seguire l’ozio delle lettere, coltivare i diritti dell’anima e dell’amore e nel quale la donna si trova a rivestire un ruolo particolare. E’ un gruppo che guarda al di fuori di Venezia, verso le altre corti come Milano, Mantova, Ferrara e Urbino e che si proietta anche nella corte di Asolo, in cui Bembo ambienta i suoi “Asolani”.

 

Gli Asolani sono un testo che vede la luce nel 1505, affidato agli splendidi caratteri della tipografia di Aldo Manuzio.

Frontespizio degli Asolani di Pietro Bembo nell'edizione di Aldo Manuzio
Frontespizio degli Asolani di Pietro Bembo nell’edizione di Aldo Manuzio

Attraversano progetti ed esperienze molto diversi nella vita di Bembo: il loro inizio di ispira, a fine Quattrocento, alla fine infelice di un amore; tra il 1500 e il 1502 la scrittura dell’opera si intreccia da vicino con l’amore per Maria Savorgnan, tanto che i personaggi, i temi e le poesie degli Asolani entrano nel vivo dello scambio epistolare tra i due. Nel 1503 inizia la storia d’amore con Lucrezia Borgia, che Bembo conosce alla corte di Ferrara, in qualità di sposa di Alfonso d’Este. Lucrezia diventa la nuova destinataria dei ragionamenti d’amore e a lei sono dedicati, quando vengono pubblicati nel 1505, alcuni esemplari dell’opera. Con gli Asolani la tradizione del dialogo latino, classico e umanistico, viene riscritta in volgare, e usata anche come cornice e commento a una serie di poesie.

Diverse tradizione filosofiche – in particolare la moderna riflessione sull’amore dei neoplatonici fiorentini – vengono usate per dare nuova dignità alla tradizione lirica volgare. L’edizione del 1530, insieme a quella del Cortigiano (1528) e dell’Orlando furioso (1532), segna uno spartiacque nella ricca produzione cinquecentesca di opere dedicate all’amore e alle donne.




 

Descrizione dell’opera:

L’opera è ambientata alla corte di Asolo, dove Caterina Cornaro, regina di Cipro, Gerusalemme e Armenia, si era ritirata dopo aver abdicato al trono. In occasione del matrimonio di una delle sue damigelle, vari invitati intervengono alla corte. L’opera si suddivide in tre libri, che raccontano di tre giornate, in ognuna delle quali tre giovani parlano di amore alla presenza di tre donne. Nella prima giornata Perottino parlerà contro l’amore, nel secondo Gismondo ne canterà le lodi, mentre nel terzo Lavinello ricompone i contrasti e i limiti del precedente ragionar d’amore portando dentro la corte un punto di vista altro, superiore, in cui sono molto forti le componenti neoplatoniche.

Alessandro Ballarin, nel suo saggio Giorgione e la compagnia degli amici, del 1983, interpreta un’opera di Giorgione sulla base del testo degli Asolani del Bembo.

Si tratta del Doppio ritratto Ludovisi, datato all’incirca intorno al 1502-1505, che attualmente si trova al Museo di Palazzo Venezia a Roma. Le ricerche hanno appurato che il dipinto nel Seicento si trovava nella collezione del cardinale Ludovisi a Roma e che già nell’inventario del 1633 era citato come opera di Giorgione. Agli inizi del Novecento si è ipotizzato che questa fosse la tela citata da Vasari come opera di Sebastiano del Piombo, raffigurante i due musicisti Verdelot e Obrecht. Si deve invece a Longhi il rilancio di questo dipinto nell’ambito del corpus delle pitture autografe di Giorgione.

L’opera raffigura un doppio ritratto. Un giovane elegante e pensieroso che si affaccia frontalmente alla finestra del ritratto. Abbandona la testa sul palmo della mano, inclinandola alla ricerca della luce fredda che spiove in diagonale dall’alto, evidentemente da una finestra aperta sulla parete di sinistra della stanza. Il personaggio, perduto nella contemplazione della sua interiorità, regge nella mano sinistra un melangolo, ovvero una varietà delle arance dal sapore aspro e amano. Si tratta di un frutto che nella tradizione è stato più volte paragonato al pomo d’oro di Venere e quindi all’amore dolce-amaro. E’ un chiaro segno che il giovane stia riflettendo sull’amore. Alle sue spalle si trova un altro giovane, che sorride quasi beffardo. Secondo Ballarin, se la prima testa sembra avere la “fiera tristezza” di Perottino degli Asolani, la seconda ha tutta la malizia, la socievolezza mondana, il pieno appagamento dei sensi di Gismondo.

Non va però trascurata, a mio avviso, la ricerca della luce da parte del giovane in primo piano. Si tratta di una luce qualificabile in senso neoplatonico, che discende e facilita l’ascesi interiore, conducendo l’anima verso i gradi più alti della contemplazione. Ascesi che, secondo le teorie neoplatoniche, è possibile solo qualora l’anima sia mossa da Amore. Ecco quindi che il giovane con il melangolo da una parte può essere avvicinato a Perottino, per il suo riflettere sull’aspetto dolce-amaro dell’amore terreno, ma allo stesso tempo ricerca un amore puro, che permette alla sua anima di elevarsi, sposando quindi le tesi che Lavinello spiega dettagliatamente negli Asolani.

Esiste un’altra opera di Giorgione che permetterebbe di avvicinare il pittore alla Compagnia degli amici e quindi all’attività letteraria di Pietro Bembo. Si tratta del Ritratto di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, datato 1502 e ora nelle collezioni del Kunsthistoriches Museum di Vienna. La famiglia ducale di Urbino aveva infatti rapporti con la Compagnia e potrebbe essere stato un suo membro a consigliare Giorgione, allora giovanissimo e poco conosciuto al di fuori del veneto, come ritrattista.

Girgione realizzerà altri ritratti di giovani patrizi che sembrano immersi in una profonda riflessione interiore. Uno di questi è il Ritratto di Giovane di Budapest, datato 1503. Si tratta di una nuova tipologia di ritratto, che potremmo definire “sentimentale” e, per certi aspetti “neoplatonico”.

Lo schema compositivo del Doppio ritratto Ludovisi verrà in un certo senso ripreso, anni dopo da Raffaello, per il suo Autoritratto con amico, del 1518 e oggi al Louvre.

Infine, se Giorgione sembra dare un volto a Perottino e Gismondo, per Lavinello ci viene incontro un’altra opera. A Parma, nella Galleria Nazionale, possiamo vedere un quadro dei primi anni del ‘500, forse di Filippo Mazzola. Il giovane canta e tiene nella mano destra un piccolo quaderno su cui è scritto il verso “ha, quante cose qui tacendo passo”. Il verso appartiene a una canzone di Lavinello e ci testimonia una precoce fortuna figurativa degli Asolani.

Filippo Mazzola (att.), Cantore, Parma, Galleria Nazionale
Filippo Mazzola (att.), Cantore, Parma, Galleria Nazionale

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