Peter Paul Rubens, Adorazione dei pastori

[su_heading size=”20″ margin=”10″]Peter Paul Rubens (Siegen, 28 giugno 1577 – Anversa, 30 maggio 1640) Adorazione dei pastori Olio su tela, cm. 300 x 192 Fermo (Ascoli Piceno), Pinacoteca civica[/su_heading]

 

 

Rubens, Adorazione dei pastori

L’Adorazione dei pastori, attualmente conservata presso la Pinacoteca di Fermo, si trovava originariamente nella cappella del transetto destro della chiesa di San Filippo della città. Fu commissionata per volere di Sulpizio Costantini, vescovo di Nocera dei Pagani e fratello di Ulpiano Costantini, uno dei membri fondatori della comunità oratoriana di Fermo. Nel 1594 monsignor Costantini elargì, infatti, una somma pari a 1500 scudi da destinarsi al rinnovamento della chiesa, concluso nel 1607, e all’erezione di una cappella gentilizia dedicata alla Natività.

 

La storia:

La pala, unica opera di Rubens nelle Marche, ha una storia critica controversa: già attribuita al pittore fiammingo nell’archivio del Raccamadori del 1729, cadde presto nel dimenticatoio a causa della sua posizione non centrale e del cattivo stato conservativo. Con il tempo, vennero avanzate altre ipotesi attributive, come quella di Raffaelli (1889) che credette di vedere nel dipinto la mano di Gerard van Honthorst. Il merito di aver restituito la paternità dell’opera a Rubens va riconosciuto al Longhi, che ne parla in un mirabile articolo del 1927. La sua intuizione venne confermata nel 1954, quando Francesco Maranesi rintracciò nell’Archivio Arcivescovile di Fermo alcuni documenti contrattuali. Da questi scritti si evince che il 23 febbraio 1608 padre Francesco Francellucci, Superiore dell’Oratorio di Fermo, si rivolse, per la commissione della pala, alla casa madre dei Filippini di Roma, in particolare nella persona di Flaminio Ricci, superiore della Congregazione e di origine fermana. Nella lettera di richiesta Francellucci specificò che per il dipinto si volevano spendere 200 scudi. Nello stesso giorno, il Ricci scrisse ai padri di Fermo che aveva deciso di far eseguire il dipinto a Rubens, che in quel periodo stava lavorando nella loro chiesa di Santa Maria in Vallicella. Il 9 marzo, il pittore ricevette 25 scudi di acconto per comprare il materiale necessario a iniziare i lavori e firmò il contratto nel quale di impegnava a realizzare un’Adorazione dei pastori “con almeno cinque figure grandi cioè la Madonna, S. Giuseppe, tre pastori et in più Christo Bambino nel presepio aggiungendovi anche una gloria di Angioli”. Il 7 giugno l’opera venne terminata e il 16 luglio arrivò a Fermo.

Del dipinto esiste un disegno preparatorio, a penna e inchiostro, conservato presso la Foder Collection di Amsterdam, che rappresenta il giovane pastore inginocchiato sulla sinistra e l’anziana donna alle sue spalle, accompagnati dalla testa di un uomo arabo, di indubbio gusto elsheimeriano, che non entrerà nella redazione finale. Il modello preparatorio, presumibilmente realizzato a Roma e approvato da padre Flaminio Ricci, è invece conservato all’Hermitage di San Pietroburgo. E’ da scartarsi infatti l’ipotesi, avanza da L. Van Puyvelde (1965) e smentita successivamente da J. S. Held (1980), secondo la quale tale modello sia stato realizzato da Rubens come studio per la pala di identico soggetto che egli realizzò per la chiesa domenicana di San Paolo ad Anversa.

 

Descrizione dell’opera:

Il dipinto in esame rappresenta un’Adorazione dei pastori e richiama, per quanto riguarda l’uso della luce e l’impaginazione, la famosa Notte di Correggio, ora a Dresda, ma che Rubens deve aver visto nella chiesa di San Prospero a Reggio Emilia.  Il gruppo centrale della Madonna con il Bambino costituisce il perno della composizione, attorno al quale ruotano San Giuseppe e i pastori. La disposizione dei personaggi scandisce un ritmo semicircolare che coinvolge anche gli angeli in volo. Ciò che colpisce del dipinto è sicuramente il sapiente uso della luce, che si diparte dal bambino e riscatta i volti e i corpi degli altri personaggi dal fondale scuro. La luminosità, talmente intensa che il pastore in piedi sulla sinistra è costretto a portarsi la mano agli occhi, contribuisce a ricreare un’atmosfera famigliare, alla quale ben si adattano i volti dei personaggi, accesi da un sentimento di affettuosa devozione. La Vergine, vera protagonista dell’opera, è colta nel momento in cui, incrociando le braccia in un vero e proprio saggio di bravura disegnativa, toglie le fasce al Bambino, per mostrarne il sesso ai pastori. L’episodio, non raccontato dai Vangeli canonici, è invece cruciale nelle Rivelazioni di Santa Brigida, il cui testo latino venne stampato a Roma nel 1606. Dietro Maria, nascosto nell’ombra più di quanto non avvenga nel modello dell’Hermitage, vi è San Giuseppe.  A vegliare la scena dall’alto ci sono alcuni angioletti che ricordano, nella loro potenza muscolare e saldatura anatomica, alcuni gruppi angelici della Cappella sistina.




I modelli dell’opera sono da ricercare sicuramente, oltre che in Correggio, nel tonalismo veneto cinquecentesco (Tiziano, Veronese e Tintoretto), pur aggiornato sulle recenti esperienze di Caravaggio, che Rubens aveva quotidianamente modo di studiare mentre lavorava alla Vallicella, e di El Sheimer.

Noto come "La Notte" è un olio su tavola databile al 1525-1530 e conservato alla Gamaldegalerie di Dresda
Correggio, Adorazione dei Pastori (la Notte), 1525-30, olio su tavola, Dresda, Galmaldegalerie.

La pala in esame venne sicuramente ripresa dal Rubens per la variante autografa, già sopracitata, che realizzò, una volta tornato in patria, per la chiesa di San Paolo ad Anversa. Va sottolineato comunque quanto quest’opera abbia, rispetto alla pala fermana, opposizioni di luce e colori meno violente. Inoltre, la figura della Vergine è più slanciata, i personaggi sono più vicini gli uni agli altri e anche il gruppo degli angeli si avvicina maggiormente alla sfera umana.

A mio parere, un’altra Adorazione dei pastori ricalca, nell’impianto compositivo e nella scelta iconografica, la pala di Rubens. Si tratta di un dipinto dello Zoppo da Lugano, attualmente conservato in una collezione privata e datato intorno al 1649. Anche se non ci sono prove che lo Zoppo abbia visto la pala fermana o la variante di Anversa, non va dimenticato che la sua produzione fu influenzata dall’ambiente artistico genovese, nel quale operarono sia Rubens stesso che il suo allievo Van Dyck. L’opera del Discepoli, però, si distaccca dal capolavoro rubensiano per l’effetto luministico: rischiarata da una tiepida luce, si avvicina alle coeve esperienze lombarde del Luini e del Nuvolone.

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