Guido Reni e la sua “apertissima bugia”

 

 

Questa “finzione palese è una forma di parlare, la quale dice un’apertissima bugia, ma tanto proportionata alla verità, che si fa con diletto ammirare […]. Ella non vuole essere creduta d’averci data una verità, ma pretende solamente lode per haverne dipinto un molto vivo sembiante

Così Girolamo Pellegrini, nel 1639, descriveva il Ratto di Elena di Guido Reni, un’opera che ancora oggi si fa ammirare nella sua grazia e preziosità coloristica, lasciandoci senza fiato.

La tela in questione ha una storia collezionistica alquanto complicata. Stando al racconto che ce ne fa Malvasia, il dipinto fu commissionato a Guido Reni, intorno al 1627/28, dal conte di Onate, ambasciatore a Roma di Filippo IV di Spagna, per il Salon Nuevo dell’Alcazar di Madrid. Guido Reni accettò subito l’incarico, ma poi decise di tornare a Bologna, sua città natale. Essendo i rapporti con la Spagna importanti per il pontefice Urbano VIII, quest’ultimo incaricò un legato pontificio a Bologna, ovvero il cardinale Bernardino Spada, di controllare che l’artista effettivamente stesse portando avanti i lavori. Poco prima che Reni terminasse il dipinto, però, cambiò l’ambasciatore spagnolo a Roma e il nuovo incaricato si rifiutò di acquistarlo, forse per l’eccessivo prezzo chiesto dall’artista. Bernardino Spada, quindi, cercò subito un nuovo acquirente e sembrò trovarlo in Maria de’ Medici, regina di Francia. Prima della partenza del quadro per Parigi, però, il cardinale Spada chiese a Reni una copia dell’opera, che effettivamente fu realizzata e che oggi si può ammirare alla Galleria Spada di Roma. Il Ratto di Elena partì quindi alla volta della Francia, ma, arrivato a destinazione, Maria de’ Medici venne esiliata e quindi la tela, per l’ennesima volta, restò senza proprietario. Circa 10 anni dopo ricomparve nei documenti della collezione di Louis Phélypeaux de la Vrillière, segretario di Luigi XIV, che si era fatto costruire a Parigi, da François Mansarde, un palazzo con una galleria di dipinti all’italiana.




L’opera rappresenta un episodio dell’Eneide di Virgilio: Paride, figlio del re di Troia, Priamo, decide di rapire Elena, moglie di Menelao, poiché Venere, in cambio del pomo d’oro, gli aveva promesso l’amore della donna più bella della Terra. Tale rapimento sarà poi la causa scatenante della guerra di Troia, dal momento in cui Menelao, per vendicare l’offesa subita, deciderà di radunare tutti i principi della Grecia ed attaccare la città di Priamo.

Al centro della rappresentazione c’è il gesto del rapimento. La scena, calibrata e molto luminosa, si svolge davanti ad un fondale scuro. C’è una linea che taglia trasversalmente la scena: sono le mura di Sparta, la città su cui regna Menelao. Questa costruzione crea una dicotomia netta tra lo scuro e i colori smaltati e scandisce le figure. I personaggi sono divisi in tre gruppi: le ancelle, i soldati e al centro la coppia Paride e Elena.

Le ancelle sono le schiave di Elena che quindi la accompagnano alla partenza. Hanno un aspetto immoto, statuario, sono angeliche e quasi raffaellesche. Tra le tre, ce n’è una con i capelli sciolti e la bocca aperta, che punta lo sguardo verso l’intreccio di mani di Paride e Elena e si sta rendendo conto della drammaticità dell’evento. Elena non mostra paura, ansia o stupore. Anzi, reclina lievemente la testa verso Paride, quasi assecondandolo e volendolo compiacere. Le mani dei due sono delicatamente intrecciate e il gesto è assolutizzato dal vuoto che gli viene creato intorno. L’armatura di Paride è scurissima e le due mani candite gli si stagliano sopra, incorniciate dal drappo rosso.

 

Guido Reni, Il Ratto di Elena, 1627/28, Parigi, Musée du Louvre, part. 2

Dall’altra parte ci sono tre soldati che stanno indicando un luogo lontano al di là del mare: Troia. Il cielo si fa quasi trasparente, vitreo e cereo, come lo definirà Longhi nel 1916 nel suo saggio “Gentileschi. Padre e figlia”.

La parte bassa del dipinto può essere letta come una pala d’altare, che va a commentare quanto avviene nella parte alta

.Guido Reni, Il Ratto di Elena, 1627/28, Parigi, Musée du Louvre, part.

Sulla destra vediamo infatti Cupido, rappresentante di Venere, sotto il cui consenso avvenne il rapimento. Cattura il nostro sguardo e ci indica l’intreccio di mani, mentre poggia il piede su una rovina, presagio della caduta di Troia. Accanto a lui vediamo un cagnolino, simbolo di fedeltà, per sottolineare che Elena è sì un’adultera ma sarà poi fedele a Paride. C’è poi un uistiti pigmeo, che nella simbologia matrimoniale rappresenta i piaceri lascivi. Paride, infatti, desidera Elena anche da un punto di vista sessuale.

Ed è così che Guido Reni, attraverso la “grazia” che lo contraddistingue e che gli viene riconosciuta dalle fonti sue contemporanee, riuscì a tessere un inno alla bellezza e alla sua immortalità.

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